[013] Esercizi

«Chi non beve con me, peste lo colga!».
—Sem Benelli

A volte mi ritrovo sul terrazzo,
la domenica sera,
(sicuro è che ogni volta che si cerca
di fissare nel tempo
un qualche evento chissà come sempre
la prima scelta è aprile,
ma stavolta lo so che non è aprile:
sono piuttosto giorni
senza forma di inverni soleggiati
anche lunghi, ma poco,
davvero poco freddi e quindi un po’
sul tardi un po’ nebbiosi,
ma pure solidi e compatti, pigri
come i pini a Milano
Marittima che gli aghi sui passanti
li scrollano a dispetto
oppure i tavolacci fintamente
rustici di quel bar,
dove ci siamo fatti, forse, l’ultima
di quelle birre insieme
e chi lo sa se quella fosse l’ultima
davvero) e dal terrazzo
guardo la Rocca e guardo i campanili
della città, la Torre
Civica pure e penso a come tutto
affonda lentamente
e non ritorna a galla come il giorno
che si impicca da solo
e spenzola dai merli di un castello
sbeccato o come un quadro —
anche bello — lasciato in magazzino
così: dimenticato.

Ripenso a quelle nostre gite in auto
così inutili, in fondo,
che, invece, a noi sembravano essenziali;
a come tornavamo
a casa divertiti dalle chiacchiere,
paghi perfino — subito
accesa la TV guardavo il Milan
che cosa aveva fatto —
e a volte riuscivamo per andare
alla seconda al cinema
e quasi mi verrebbe di chiamarti
o, almeno, di guardare
se mi fosse arrivato un tuo messaggio
su qualche piattaforma.

Così mi rendo conto che non c’è
davvero un termine
per descrivere appieno l’inessenza,
che manca una parola
per dire quanto bruci la mancanza
di quegli istanti tutti
scomparsi in un istante in un burrone
e che quello che manca
di più è l’inessenziale, l’ordinario
a cui tutto l’esercito
dei giorni quotidiani in fila indiana,
assetato, si abbevera,
la lunga serie dei momenti usuali
che un momento soltanto
interrompe e cancella malamente
per sempre in uno schianto.

Lo so che, a ben vedere, tutti quanti
i dolori del mondo
si confondono in uno: la disfatta
di Canne, Caporetto,
Pompei sotto la lava, quei naufragi
di navi transatlantiche,
la rotta a Roncisvalle, Bragadin
scorticato sul palo,
che dal punto di vista dell’eterno
le grida di Maria
atroci per la gravidanza isterica
per non dire di peggio,
i troppo freddi amplessi di Filippo
che hanno lasciato vuoto
il trono di Inghilterra tutti insieme
contano, forse, meno
di questa strana mia tristezza cheta,
intangibile e oscura,
ma ciò non mi conforta, perché sempre
a soffrire si è soli.

Piuttosto mi domando tu che cosa,
quando la più crudele
delle angosce ti martellava il petto fino a stracciarti il cuore
su per quella scarpata avrai pensato.
Quel che dicevi sempre
(e che mi dico io pure): che a nessuno
saresti, poi, mancato,
che nessuno per te avrebbe sofferto?
Nel tuo caso, però,
per un destino cinico e beffardo
uno almeno ha sofferto,
ad uno almeno manchi: e sono io.

17-23 febbraio 2023