[003] Esercizi

«Che più ti resta disse il poeta Monti
e in effetti restava poco o nulla
e non quello che conta
—Eugenio Montale

E adesso dove sono, semmai sono
da qualche parte, dove
sono state riposte
tutte le buone cose di una volta?
In quale sgabuzzino della mente
è stato relegato dall’oblio
il dragone cinese
(che sì mi aveva fatto tanto ridere!)
strapazzato qua e là di Ma papà,
ti manda sola?
, gli aquiloni crespi
di carta, inetti al volo, e il mio castello
di plastica distrutto dai nipoti,
il diavolo bestiale ed invisibile —
pura forma d’orrore e di sgomento —
che tracimava dallo scantinato
a Montescudo e mi afferrava i piedi
fino a svegliarmi zuppo di sudori
freddi anche più di quelli di un infarto
nello stanzino con la finestrella
trapezoidale eppure ricordato
come una cosa cara (che sia questa
poi la bellezza delle cose brutte?)
quanto i micetti fratellini
scomparsi e, poi, riapparsi sotto il letto?

Dove è andato a finire
il tunnel che — nei sogni — ha collegato
a Città di Castello il Municipio
con il Museo di Monaco e i Cilindri
della BMW

l’audiocassetta (Ferryboat di Pino
Daniele) da cui tutto è cominciato,
i waferini della nonna Nina,
il melograno in ombra e resiliente
mio compare d’età, che, poco fa,
quasi a dispetto, quando me ne importa
più niente, ha finalmente fatto un frutto?

Eh, già che tante cose
sarebbero davvero da buttare,
ma chissà, poi, per fare spazio a che?
Con che cosa rimpiazzo
la prima nevicata, il bob, la prima
volta che ho tolto le rotelle
alla mia bicicletta, i primi versi
sul taccuino di Siena, scritti a mano,
la prima polluzione
e quella prima volta che, rapito,
ho letto El Desdichado
nel libro di Francese
dimenticato aperto da qualcuno
su di un tavolo in sala professori?

Avranno mai risposta quei quesiti
a dirli, di sicuro, un poco assurdi,
a confessarli, poi, da vergognarsene
assilli miei folli da sempre:
se nei momenti ultimi si abbia
la voglia di guardare la TV
o leggere il giornale,
se sul punto di andarsene
si colga ancora appieno una battuta,
si rida ancora per una facezia,
se di istinto si guardi l’orologio,
ma — certo più inquietante — se si possa
andare avanti e, infine, sopravvivere
a tante cose ormai parte di noi,
(che, anzi, sono noi!) come un funambolo
sul vuoto fra le due Torri Gemelle.

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