XLI
Miei signori, Gemelli, ai quali devo
quest’ingegno e l’accidia, arditi slanci
stolte e le titubanze, quando elevo
chi altri c’è come me gli occhi al tranquillo
carosello di stelle? Non credevo
tanto limpido e puro degli aranci
notturni il crepitio fioco, primevo
mi potesse ammansire e lo zampillo
rilucente degli astri, eterna pioggia
serena, mi guarisse. A me si appoggia
il respiro del mondo e qui dal colle
scompaiono gli amici, quel camino
che crolla tra le fiamme e il mio destino.
Chi potrà mai amarmi così folle?